Eugenia Burzio - Cronache

LA LORELEY DI EUGENIA BURZIO ALLA SCALA

 

L’illustre attrice-cantante che, per ragioni di salute, interruppe per qualche tempo, la gloriosa sua carriera, declinando le cospicue  offerte che, insistentemente, le vennero fatte dalle imprese delle più importanti scene d’Europa e d’America, desiderose del suo preziosissimo concorso, è ritornata all'arte, facendo la sua riapparizione nel teatro degno della sua altissima rinomanza e in un’opera - la “Loreley” nella quale i milanesi l’avevano già tanto festeggiata, nell'anno in cui era apparsa, per la prima volta sul palcoscenico del nostro massimo, ov’ebbe, poi, otto consecutive riconferme, lasciando, nella “Risurrezione” d’Alfano, nella “Gioconda” - due stagioni - nella “Tosca” nell’”Armida” nell’”Aida” nella “Wally” nella “Figlia di Jorio” nella “Cavalleria” nella “Norma” e nella “Saffo” ricordi incancellabili.

 

      Il ritorno, ansiosamente aspettato, d’Eugenia Burzio, fu accolto con gioia dai frequentatori della Scala, ammiratori, tutti entusiasticamente convinti, dell’eccelsa cantatrice. Con  la superba e impressionantissima interpretazione dell’ispirato spartito d’Alfredo Catalani, la Burzio, giustificò le festosissime accoglienze e la vivissima attenzione, con le quali fu seguita, dall’aristocratico uditorio, in tutto le svolgimento della sublime  creazione del compianto cantore lucchese. Della difficilissima sua parte, resa alla perfezione, con voce bellissima, calda, d’eccezionale resistenza, piena, voluminosa e squillante in tutti i registri, con l’incisiva dizione, l’accento animatore e la sorprendentissima drammaticità, la Burzio trasse effetti nuovi, assolutamente personali  inimitabili e meravigliosi, giustificando, in ogni brano, in ogni frase in ogni scena , la fama mondiale che - col suo immenso valore - s’è meritamente formata. Il trionfo della Burzio, poiché fu un vero, un assoluto trionfo, oltre che dalle frenetiche dimostrazioni degli spettatori, ebbe conferma anche dalla stampa cittadina. Il “Nappi”, rileva, nella “Perseveranza” che l’insigne artista ha portato il sontuoso suo patrimonio della voce, sempre fresca, sempre intensa ed eccezionalmente estesa, cantando tutta la parte poderosa della protagonista, con mirabile resistenza.

      “La spontaneità, l’espansività del suo accento - scrive l’egregio critico - la risolutezza con cui ella diede la scalata alle note che stanno al massimo vertice della gamma del soprano, furono, anche questa volta, assai ammirate dal pubblico.”

 

      “g. c.” del “Secolo” sostiene che “L’artista vibrò, come un giorno, esuberante di drammaticità; cercò le inflessioni più insinuanti nei canti della seduzione e si profuse, sempre, avvincendo spesso il pubblico, che la volle applaudire anche a scena aperta.”

 

     “L’Avanti”, dopo aver detto che la parte di “Loreley” richiede una resistenza, un calore, una fluidità canora irresistibile, afferma che la Burzio ha voce d’una grande dolcezza, di nerbo non comune e di sentita espressione e che la sua scena imperiosa, che imparò anche a rendere castigata, e il suo talento interpretativo, pronto e sicuro, le permisero di rendere, con molta nobiltà, il suo personaggio.”

      Alla seconda rappresentazione, il successo della Burzio, fu ancora più trionfale - è tutto dire!.. - perché, più serena della prima sera, nella quale si presentò dopo una sola prova d’orchestra, potè fare ampio sfoggio di tutte le meravigliose sue doti vocali e dell’artistico suo temperamento. Quanto affermiamo, fu constatato dai fogli locali e anche da quelli d’altre città.

 

     Leggiamo nel “Caffaro” di Genova:

Milano, 10 (S.T.)  -  Un altro teatro magnifico alla seconda di Loreley ed un altro ancora più entusiastico trionfo per la Burzio, la quale fu festeggiata in tutta la sera dal pubblico delle grandi occasioni, che l’ama e l’apprezza in tutto il suo valore di insuperabile cantante-attrice. Con la scrittura di questa grande nostra artista lirica, la scala - dicevano iersera vecchi habitués nelle poltrone - è tornata ai suoi bei tempi e finalmente, dicevano, abbiamo veduto il pubblico scattare all’entusiastico applauso, conquiso dalla voce magnifica, di grande vigoria e per l’espressione dolcissima  del canto di questa eletta cantatrice.

     All’invocazione: Vieni, deh! vieni! Cantata con tanta passione e con grande dolcezza, il pubblico le fece un’ovazione che pareva non volesse cessare.

      Non vi so esattamente dire del numero delle chiamate a fine atto. Furono innumerevoli certo che con lei si presentarono i bravissimi interpreti: la Solari, il De Giovanni, il faticanti, il Ferroni e il maestro Marinuzzi, degna corona a tanto astro.

 

     Lo stesso giornale - in altro numero - stampa:

Alla Scala di Milano ritornò in onore, dopo tanti anni di assenza, l’opera di Catalani Loreley. Ne è interprete acclamatissima e pregevole Eugenia Burzio, che da qualche tempo si teneva lontana dalle scene. Furono due ritorni che soddisfecero, entusiasmarono pienamente il pubblico. La Burzio è, ormai la trionfatrice della attuale stagione scaligera. Il successo da lei ottenuto in Loreley, fu grandissimo e ben meritato inquantoché Eugenia Burzio è oggi uno dei maggiori astri del firmamento lirico-drammatico. Ella possiede una voce magnifica, che va dritta al cuore e commuove; pieghevole ad ogni difficoltà canora. Il canto di Eugenia Burzio è tutto una miniatura. È pieno di espressione e di sentimento. In lei trionfa la semplicità che esclude ogni antipatica posa. La gioia di trionfare sempre e dovunque traluce dal suo sguardo luminoso e dal suo bel sorriso. In lei è una vivida forza: la grande passione per l’arte a cui s’è dedicata ed un grande amore allo studio. Ch’ella, pur oggi grandissima attrice-cantante, non trascura mai. Ecco il segreto delle vere celebrità.

     Sappiamo che la Burzio, fu la prima ad essere interpellata per “Madame Sans-Gêne” del Giordano, al Regio di Torino, per “Notte di leggenda” del Franchetti e la “Gioconda” alla Scala, ma, per i motivi più sopra accennati, declinò pure tali offerte.

     Ora però che la “diva” è ritornata all’arte sua prediletta e con vittorioso risultato, siamo certi che non rifiuterà le lucrosissime proposte che le verranno, indubbiamente, fatte e che presto dovremo registrare altri immensi successi.

      Siamo lieti, intanto, d’adornare le colonne della “Rivista” col magnifico e recentissimo ritratto che la celebre prima donna ha avuto l’amabilità di inviarci, in ricordo della trionfale sua “rentrée”.

 

Dalla  Rivista Teatrale Melodrammatica  n°2563/64  - del 8/16 febbraio 1915

 


 

LA NAZIONE di Firenze

FIRENZE - LA MEMORABILE FESTA D’ARTE AL POLITEAMA FIORENTINO

 

Di Giannotto Bastianelli

Siccome io non sono un qualunque cronista teatrale, non nascondo che a stendere il resoconto di una serata di beneficenza patriottica provo un po’ di fatica e di riluttanza. Ma quando penso che questa fatica e questa riluttanza la vinco per una amica e un’artista che stimo e che ammiro, la mia penna prende come si dice a Firenze “l’aire” e mi abbandono con tutta sincerità ai simpatici ricordi della grande serata che Donna Eugenia Burzio dette il 28 febbraio al Politeama Fiorentino coadiuvata da Fanfulla Lari e da Giuseppe Baroni.

Del resto a noialtri critici di razza credo che faccia bene perdere tanti freddi pregiudizi. Si potrebbe dire che per critica noi intendiamo quasi sempre una attività puramente cerebrale. Eppure per noi anime moderne; che più volentieri che in altre filosofie ci rispecchiamo nella filosofia d’intuizione e d’impressione il più possibile aderente alla vita (vissuta e non pensata soltanto) del Bergson, la critica cerebrale che troppo abbia bisogno per sorreggersi e per nascere delle quattro gambe del tavolino da lavoro; per noi anime moderne da cui il vento vivace del futurismo à soffiato via tanta polvere di falsi rispetti e di esose convenzionalità; deve avere addirittura il valore ad una rinascita critica questo cercar di rendere più agile la nostra percezione di ogni genere di creatività artistica e specialmente di quelle forme di creatività che uno sterile spirito di culturalità germanica anche tra noi italiani à voluto farci credere come inferiori. Nel nostro idealismo di compositori giovani fino a poco tempo fa abbiamo infatti stimato un cantante (e in genere un esecutore) come un artista inferiore. E invece basta vivere in po’ nel teatro, basta sentire quali miracoli di energia artistica un esecutore sprigiona su di una folla ora mareggiante d’impazienza, ora trepidante di ansietà, ora muta e statica come peplo di statue sotto l’influsso mediatico d’una grande scena di terrore; per non fare più assurde e altezzose differenze tra il creatore di opere e il creatore di interpretazioni. Cantanti, maestri concertatori, compositori, critici sono tutti spiriti posseduti da uno stesso Dio; quando io mi sento invaso da una corrente spirituale (perdonate il nervoso termine da elettricismo idealistico) e un’onda di musica nuova mi sprigiona dentro di me, non sono certo superiore all'attrice o alla cantante che con un’intuizione miracolosa crea, colla sua stessa materia viva, una indimenticabile creatura fantastica.

Eugenia Burzio è anch'essa una creatrice come tutte le vere cantanti. La sua arte avrà i suoi limiti, giacchè limitate sono tutte le attività creanti, il genio di qualunque grand'uomo  la potenza di qualunque direttore d’orchestra, e anche questa mia acutezza critica che come mi permette di profondarmi nelle misteriose mineralogie d’un antica opera d’arte, così mi permette cogliere l’implacabile vibrazione della genialità diffusa di un vasto teatro gremito di pubblico da un grande interprete. Ma quando io con la sottigliezza di esegeta avessi tracciato inesorabilmente questi limiti non avrei fatto altro che rappresentare negativamente la personalità della Burzio.

Invece parliamone un po’ positivamente di questa personalità. Dove l’esistenza sola di questo articolo mio farà pensare a che sa quali lauti segreti compensi dati dalla cantante al critico rivelatore. Come se io che tanto spesso ò detto schiettamente ciò che mi piaceva in un grande quartetto di Beethoven vibrante di archi e di sincronismo romantico, senza avere avuto naturalmente,  neppure…  un centesimo  dallo spirito del genio di Bonn dovessi diventare a un tratto un critico venduto perchè parlo di ciò che mi piace nell’ arte attuale d’una cantante che, oltre tutto, sa anche guadagnare bene!

L’arte della Burzio è tutta meritata di caldissima prepotente sensualità. Mentre era Santuzza io pensavo, trascinato mio malgrado in una atmosfera di strazio sensuale e di drammaticità passionale, che Riccardo Strauss ebbe a dire una grande verità, quando ascoltando non so quale opera italiana non poteva udirsi che in italia, cantata da artisti italiani.

Cavalleria, il sensualissimo spartito rigurgitante di colori di ritmi di melodie meridionali era iersera come dominato da questa figura di Santuzza in cui la Burzio sapeva con impeto d’arte personalissima e sincera infondere tutta la ferocia della passione popolare. Noi nuovi compositori italiani abbiamo tutte le ragioni a volere superare questa specie di “limite chiuso” del teatro musicale italiano: la popolarità e il senso veristico della passione carnale vissuta da anime comuni e popolari. Ma questo non vuol dire che il critico italiano non debba godere profondamente dei musicisti e degli interpreti che dentro questo limite sanno vivere e creare con tanta sincerità e vitalità.

Splendidamente intonata al carattere della Cavalleria fu l’interpretazione che la Burzio ci diede di alcune canzoni napoletane.

Il programma della grande artista comprendeva infatti, oltre l’intera esecuzione di Cavalleria rusticana (che ebbe un successo enorme specialmente dopo la romanza, cantata con passione dolorosa, e dopo il duetto con Turiddu) un numero di due romanze di stile serio, una del Maestro Brogi Notte bianca e il suicidio della Gioconda e di due romanze napoletane. Non mi dilungherò a parlare dell’interpretazione che la Burzio dette, delicatissima di Notte bianca, tragica e cupa di Suicidio. Mi fermerò invece a dare un’idea della grazia ingenua, dell’arte incantevole che seppe mettere nelle due canzonette napoletane. Ebbe mezze voci, staccati accenti sentimentali, rallentandi languidi e lascivi da mandare (come infatti mandarono) in visibilio la folla. E siccome queste canzoni la Burzio ebbe a cantarle in fine di programma inframezzato  dall'inno di Mameli (ciò che la grande artista accennò con pensiero gentile con la propria voce), gli applausi del pubblico si tramutarono in una vera apoteosi. Non ci si stancava più di evocare la deliziosa e interessantissima artista al proscenio. E non posso trattenermi dal confessare che io da buon critico senza scrupoli e… senza peli sulla lingua nel mio più intimo pensiero riconosceva che il pubblico a entusiasmarsi così aveva tutte le ragioni; che la sincerità e la snellezza di quelle due melodie semplice e popolari valevano, oh! se valevano! Tanti di chili di musica così detta seria. Ma questo sia detto in un orecchio e in grande segretezza, altrimenti finisco anch'io per passare per un ignorante…. Che non sa la musica.

Oltre alla Burzio avevano preso parte alla serata il celebre violinista Fanfulla Lari e il Comm. Giuseppe Baroni. Il Lari aperse il programma sonando magistralmente L’Elegia del Bazzini, il Tamburino di Kreiser e concedendo un bis - una difficile riduzione della Cavalleria rusticana. Anche durante un intermezzo eseguì la scoppiettante Guitarre di Moskoski e accompagnò insieme al maestro Renato Brogi (che stava al pianoforte) la romanza Notte bianca cantata come abbiamo detto dalla Burzio.

L’arte del violinista Lari è forse una delle più complete che abbiamo in Italia. Di pretta tradizione italiana l’arco di Lari sa superare sul violino le più brillanti difficoltà e trarne le più delicate squisitezze sentimentali. Un mi rallegro sincero al nostro pubblico che non soltanto comprese il Lari e lo seguì nella sua non facile arte d’esecutore ma gli fece un’affettuosa e convinta dimostrazione di simpatia evocandolo moltissime volte al proscenio. E anche lodiamo Eugenia Burzio nella sua intenzione solamente nazionale nel volere suo compagno uno dei nostri migliori maestri dell’arco quasi a dimostrare che anche noi italiani abbiamo violinisti di grande stile da opporre ai celebri violinisti d’oltralpe.

Come intermezzo sinfonico l’egregia orchestra fiorentina, una orchestra che per precisione, sentimento artistico, bontà rara di elementi (e si badi che ora molti di quelli elementi sono alla guerra) meriterebbe in Italia di essere largamente apprezzata e conosciuta eseguì sotto la bellissima direzione del maestro Baroni, la Sinfonia della Battaglia di Legnano riscuotendo pieno consenso di applausi.

Inutile dire che il teatro era gramito oltre che al pubblico popolare, di quanto di più signorile ed eletto abita nella nostra elegantissima Firenze.

 

 

Tratto dalla Rivista teatrale Melodrammatica  -  numero 2612-13    -   del 10/20 luglio 1916