Francesco Merli - Documenti

FRANCESCO MERLI

“I quaderni del tenore”

"Lo scriva, lo scriva...lo non sono arrivato secondo al Concorso di Parma,
nel 1914: Gigli fu primo nel
la sua categoria ed io fui ugualmente primo nella categoria dei tenori drammatici. Non è mica giusto che si continui a dire che Gigli è arrivato primo ed io secondo! ".

Chi si fa le ragioni con tanta foga è l'ottantaseienne tenore Francesco Merli, che mi ha ricevuto nella sua casa di via Giulio Carcano, una strada miracolosamente tranquilla della periferia milanese.

"Vede? - sottolinea orgoglioso il cantante - Ho messo insieme questi quattro mattoni perché ho sempre avuto i piedi per terra. Certi miei colleghi guadagnavano bene e andavano a buttar via i soldi al casinò o con le bionde...lo ho preferito comprarmi una casetta e così non devo dir grazie a nessuno".

Sembra impossibile che questo vecchietto, così semplice ed arguto, abbia calcato per trent'anni le scene dei più grandi teatri, affrontando ruoli onerosissimi di tenore drammatico. Il grande Merli vestì ben 295 volte i panni di Otello, 239 quelli di Radames, 147 quelli di Manrico; si aggiungano a queste cifre, decine di recite in La forza del destino, Sansone e Dalila, I Pagliacci, Guglielmo Tell, Norma, Turandot, Francesca da Rimini, e si capirà quale ruolo determinante
abbia r
icoperto questo cantore in anni segnati dalla presenza, in campo tenorile, di grossi calibri come Gigli, Pertile, Lauri Volpi, Schipa, Martinelli.

Mi è possibile riportare il numero esatto delle recite di alcune opere perché Merli, fin dall'inizio della carriera, ha tenuto dei "Quaderni" su cui registrava, dopo ogni recita, le sue impressioni sull'esecuzione vocale, sul direttore e, in molti casi, sull'autore. Se si considera che lo diressero i più grandi maestri, fra cui Toscanini, e che i compositori d'allora si chiamavano Mascagni, Puccini, Giordano, Cilea, Zandonai, c'è da augurarsi che un giorno questi "Quaderni" vengano pubblicati, anche perché, avendone lette varie pagine, posso assicurare che, nel dare giudizi, Merli fu sempre onesto, oltre che acuto e-circostanziato.

"Legga qui, - mi dice, mentre le dita tremolanti cercano una pagina nel primo quaderno - questo sì che è un pezzo di storia!

25 luglio 1914 - Concorso di canto per esordienti. Ho cantato una romanza da "La fanciulla del West", da "La forza del destino" e il duetto del terzo atto dell' "Aida". Malgrado non avessi dormito la notte per la paura e nonostante la levataccia e il viaggio, non mi sono mai sentito cosi bene di voce; e non ero nemmeno emozionato. Forse ho fatto una bella figura.

E poi, qualche giorno dopo, segnai il risultato. Ecco qui: 3 agosto 1914 - Questa mattina,

dai giornali, apprendo il risultato del Concorso di Parma: con grande emozione leggo tra i nomi dei vincitori anche il mio.
C'è anche un tenore lirico che si chiama Beniamino Gigli. Ho pianto per l'emozione
e per la contentezza quando ho ricevuto, da Parma, una lettera firmata dal M°. Campanini che mi ha confermato la mia affermaz
ione nel ruolo drammatico.

lo prima facevo il bidello in una scuola elementare di via Commenda, poi il
sindaco Greppi, che mi aveva sentito cantare in un concerto al Teatro Dal Verme,
mi fece trasferire a Palazzo Marino, in modo che non mangiassi tanta polvere ".


Con quale opera ha debuttato, signor Merli?

“Sono stato molto fortunato, perché ho debuttato subito alla Scala, quale Elisero nel Mosè di Rossini, il 12 settembre 1918. Ricordo che avevo una fifa nera, ma, appena entrato in palcoscenico, ho trovato tutto facile ed ho cantato ".

 

Ed ha continuato a cantare, se non sbaglio, fino al 1948 ...

“Eh, sì. Sono 30 anni di carriera: non sono mica uno scherzo! ".

 

Lei è stato un grande tenore in anni ricchissimi di voci splendide. Tra l'altro, quando lei iniziò la carriera, c'era ancora Caruso in attività. Ha un ricordo di lui?

“Una sera l'ho sentito cantare ne I Pagliacci a Cremona: un disastro. Ma questo non vuol dire niente perché tutti hanno delle sere negative. Anche di Caruso ho un appunto sui miei 'Quaderni'. Adesso glielo leggo:

Io rifiuto di considerare Caruso un miracolo o un prodigio perché, applicando
una di queste etichette alla sua poliedrica personalità, ne uscirebbero ingiustamente
ridimensionati i suoi meriti. Caruso è stato definito "la più grande voce del secolo".
Per "grande" che cosa intendiamo? Volume, estensione, espansione, colore, calore
,
comunicativa, sentimento, resistenza? Se si intendono tutte queste qualità, sono
d'accordo
: Caruso le possedeva e, inoltre, possedeva altre tre qualità determinanti:
l'intelligenza, la volontà e la serietà. E proprio queste tre ultime, a mio avviso, gli
hanno permesso di arrivare là, dove nessun altro tenore era arrivato, e di diventare
un mito
.

Più che un appunto del diario, questa era una lettera inviata nel 1973 al signor
Del Fante che mi aveva chiesto, come lei, un giudizio su Caruso ".

 

Non ha per caso un giudizio su un'opera o su un compositore a lei particolarmente cari?

“Posso leggerle le mie impressioni a caldo sulla Francesca da Rimini e su Zandonai. Dev'esserci un segnalibro, perché ho letto questo commento l'altra sera e mi è piaciuto. Eccolo qui:

27 marzo 1919, Bologna - "Prima" di Francesca da Rimini. Ero insolitamente nervoso, vuoi perché affrontavo un personaggio musicalmente insolito per me, vuoi per la presenza del compositore che, prima dell'inizio, mi è venuto a trovare in camerino, chiedendomi ... di fargli gli auguri! II successo è incondizionato e grandissimo: è piaciuta moltissimo l'opera e applauditissimi tutti i cantanti, il direttore d'orchestra Serafin e Zandonai, che mi hanno descritto così riservato e parco di elogi, mi ha abbracciato e complimentato per il come ho interpretato la parte di Paolo e vocalmente e scenicamente. "Caro Maestro - gli dissi -, il merito non è mio, è della sua musica ". Devo riconoscere che tutto è stato positivo e che ho aggiunto al mio repertorio un'opera modernissima e meravigliosa. Zandonai, che credevo, per sentito dire, un musicista prettamente wagneriano, nella "Francesca" si dimostra il più moderno dei musicisti italiani e il più italiano dei musicisti moderni.

Questo è un giudizio sincero, perché il povero Zandonai non l'ha mai letto.
Io scrivevo i miei giudizi, ma poi non li facevo leggere a nessuno ".

 

Lei è stato un grande "Otello". Come vedeva questo personaggio?

“Non creda che sia rimbambito e che non ricordi più niente, ma preferisco anche qui

leggere un giudizio che avevo preparato per la RAI, che voleva trasmettere una mia intervista e poi invece non s'è fatto niente".

Merli si gira sulla sedia, apre un cassetto della libreria e tira fuori una cartellina. Fra decine di fogli e foglietti, riesce a pescare l'intervista radiofonica inedita.
"
Eccola qua. Per quanto riguarda l'Otello, ecco le mie osservazioni:

Quanto a me, mi sono sforzato di attenermi il più possibile al quadro tracciato dallo stesso Verdi. Sappiamo tutti che il grande Maestro insegnò la parte a Tamagno, parola per parola, nota per nota, gesto per gesto. lo non ho avuto occasione di vedere l'Otello di Tamagno, ma quando ho cominciato la mia carriera lirica se ne parlava ancora; e ho creduto opportuno seguire il più fedelmente possibile la tradizione. Il personaggio di Otello ha bisogno di un trattamento vocale
pieno di intensa drammaticità, ma nello stesso tempo non esclude, anzi richiede, la mezza voce e le intenzioni. Dal punto di vista scenico, poi, io l'ho visto e l'ho eseguito in perpetuo movimento: come capitano, come uomo, come amico, come marito felice e come sposo tradito, o che si crede tale. E si capisce: la sua stessa razza, la sua provenienza dai paesi più ardenti gli danno naturalmente un’esuberanza, una vitalità, una esasperazione che non si adatterebbe a un uomo del nord ...
Le stesse manifestazioni della sua gelosia, che lo spingono fino alle soglie della demenza e anche oltre, descrivono la natura di Otello. E' la gelosia di un africano, quella, non di un uomo civile. Quindi non mi è mai riuscito di concepire un Otello statico, come è stato visto da qualcuno. Del resto è la stessa musica di Verdi, direi, che non permette al personaggio di star fermo.”

 

Una domanda più frivola, signor Merli: qual è stata la cantante più bella con cui ha cantato?

          " Non ho dubbi, anche se ho avuto insieme sul palco diverse belle donne. La più bella, la più affascinante, ed anche grande artista, è Claudia Muzio. Era così bella che faceva girare la testa a tutti ".

 

Ho notato che, negli autografi, lei firma: tenore Francesco Merli. Come mai aggiunge quel "tenore"?

        "Perché è il mio titolo e lo scrivo con orgoglio, come un altro mette davanti al nome Dottore o

Avvocato ".

 

Merli, non crede che se lei cantasse oggi sarebbe tranquillamente il primo tenore del mondo, senza possibilità di rivali?

" Lo scriva lei, se vuole. Se lo dico io faccio la figura di darmi troppe arie ".

 

      Milano, 1973

Bruno Baudissone


Vi hanno entusiasmato ieri incontriamoli oggi: Francesco Merli

di Lina Agostini

Milano, novembre

Quanti anni ha? ». «Sedici ». Fran­cesco Merli se­dici anni li ha avuti una pri­ma volta nel 1903 ed ora, che ne ha 84, gliene man­cano giusto tanti per arri­vare al secolo. «Faccio il conto alla rovescia, cento meno 84 fa sedici, così mi sento meno vecchio!».

Incontrandolo oggi nella sua casa alla periferia di Milano, Merli dà l'impres­sione di essere immerso in un programmatico im­poverimento della memo­ria, ma solo per arricchire di forza poetica questo presente che vive contan­do alla rovescia. Il passato lo riguarda ma solo fra sé e sé, con estrema gelosia e pudore.

« Ricordare significa invec­chiare ogni volta di più », dice Merli e l'approdo a questo silenzio della me­moria sembra a volte co­me un vuoto legato all'età, ma non è vero: ciò che per tanti artisti del passato che hanno avuto il suc­cesso di Francesco Merli è doloroso ricordare, è uno sforzo per non cadere vittima dei rimpianti, un iroso affannarsi per supe­rare l'abisso inevitabile del tempo tra il passato e il presente, il malinconico passaggio tra l'applauso del pubblico e la compa­gnia distratta dei nipoti nel salotto silenzioso, per questo che è stato un gran­dissimo artista del melo­dramma, è un brillare d'oc­chi, è scuotere la testa bianca, è un segno della mano che non è più tanto ferma, è la sua magnifica voce d'un tempo che ora viene fuori fioca, affaticata da quaranta anni di carrie­ra luminosa.

« Quaranta anni di palco­scenico a tu per tu con Otello, Radames, Sansone, Rodolfo, Alfredo, quaranta anni d'amore e di morte accanto a eroine che si chiamavano Mimì, Violet­ta, Tosca e che avevano la splendida voce di Gina Cigna, della Muzio, della Scacciati ».

E per quaranta anni Fran­cesco Merli ha minuziosa­mente registrato su un diario, giorno per giorno, successi, incontri, date, nomi.

« Diario, non esageriamo, son dei quaderni dove ho scritto: cantato l'opera tale, benino, poco bene, bene, con il collega simpatico o la collega belloccia. Tutto molto sintetico. Allora pensavo che mi avreb­be aiutato una volta che avessi smesso di cantare, ma ora che senso ha tutto questo? Sono parole, pa­role e parole...».

Un mare di parole che l'ammiratore più fedele di Francesco Merli, suo ni­pote Adriano Zanati, custodisce gelosamente.

« A chi servono? Quando ho smesso di cantare ho dato via tutto per distrug­gere il mio passato, per­sino il pianoforte. La sola cosa che ho conservato sono stati gli spartiti, quel­li vorrei portarmeli sotto terra quando chiuderò gli occhi. Ma il resto perché conservarlo? Ai miei figli non serve, uno fa il me­dico l'altro si interessa di paste alimentari, il solo che tiene tanto a ricordare il grande zio è Adriano, che mi ha seguito sempre fin da bambino in tutti i teatri ».

E i rimpianti?

« All'inizio ho sofferto pa­recchio, poi mi sono guar­dato allo specchio e mi sono fatto un certo discor­so: " Merli, è ora di finirla di piagnucolare! " e i rim­pianti se ne sono andati.

Oggi non canto nemmeno quando mi faccio la barba, non voglio sentire cantare gli altri e tanto meno ascolto i dischi che ho in­ciso nel corso della mia carriera».

L'immenso mondo di Fran­cesco Merli artista del pas­sato, stella di prima gran­dezza del melodramma ita­liano, compagno e rivale di Beniamino Gigli (« ab­biamo vinto insieme il pri­mo concorso per debuttanti a Parma nel 1914 ») e continuatore della mitolo­gia del «bel canto» in tutto il mondo che ha avuto il suo più splendido rappresentante in Enrico Caruso (« una sera l'ho sentito cantare a Cremona ne I Pagliacci, un disa­stro! ») e che dei grandi maestri conosce vita mor­te e miracoli (« Toscanini si mangiava sempre le un­ghie »), è tutto chiuso in questa casa con i balconi che danno sulla strada senza alberi, il buon odore di cucina e il canto di un uccellino in gabbia che si sente chiarissimo.

« È il canarino della mia governante », dice Merli, «è lei che ha cura di me e della casa da quando sono rimasto solo» e un po' lo tiranneggia e un po' lo vizia come farebbe con un ragazzo; lui, un po' ra­gazzo lo è rimasto anche a 84 anni e ha conser­vato intatto il bene dell’umiltà da garzone, ope­raio, soldato, bidello co­munale, artista.

« Faccio il pensionato, leggo molto, passeggio, ma solo quando c'è il sole mi permettono di uscire per­ché quando c'è la nebbia e fa freddo mi torna una tosse terribile ».

 

Per Francesco Merli nulla è più stupefacente di un'e­sistenza comune, di una vita semplice, la sua sto­ria è la rappresentazione dell'umile reale, e se si fa qua e là «opaco», resta personaggio proprio per­ché incarna un modello di sentimento del vivere, una idea della vita vissuta in punta di piedi con estre­mo candore, quasi con in­credulità.

 

Scrive Francesco Merli nei suoi «quaderni» di pa­role:

 

19/20/21 giugno 1913

« Concerti verdiani orga­nizzati dal Comune di Mi­lano al Teatro Dal Verme a scopo di istruzione mu­sicale per le scuole della città. Ho cantato in tutti e tre i concerti lo stupen­do brano che è il terzetto de I Lombardi. Terminato il concerto siamo stati complimentati da tutte le autorità presenti in modo così caloroso che mi ha preso un nodo alla gola. I miei colleghi di servizio (bidelli come me presso scuole e uffici comunali) mi hanno fatto dono di una bella medaglia d'oro. Pure una grande medaglia d'oro mi è stata offerta dal Comune per la mia partecipazione. Il sindaco Greppi, saputo che ero un dipendente del Comune, mi ha chiesto dinanzi a tutti “Che mestée el fa lü?”. “ El bidell " ho risposto ed è rimasto male. " El bidell? Nossignori, lü el dev minga mangiar polver s'el veur riussì on bon can­tant ” e mi ha promesso di spostarmi magari pres­so un ufficio a Palazzo Marino ».

 

6 settembre 1913

« Oggi ho lasciato le scuo­le di via Commenda per prendere servizio presso gli uffici della presidenza a Palazzo Marino. Nell'ac­comiatarmi dai miei col­leghi e nell'ossequiare le signore insegnanti, la direttrice della scuola, nu­bile e piuttosto anziana, mi ha detto queste parole: " La celebrità se ne va ”. Non ho saputo rispondere che un immodesto "Spero di diventarlo" ».

Sono epifanie milanesi co­minciate al « Molinetto », la cascina dove Merli è nato il 27 gennaio del 1887, e proseguite poi a « La Rongia ». il cascinale dove il grande cantante ha vis­suto la sua infanzia sfa­mandosi con la «raspadura» (quanto veniva ra­schiato dalle forme di for­maggio che il padre lavo­rava). Sono scorci di una Milano sognata, con prati che non ci sono, periferia tagliata dai ruscelli, una Porta Romana che era un altro mondo distante dalla città e una miseria diver­sa, senza scampo.

« Qualche volta da bambi­no, specialmente dopo che mio padre si ammalò e non poté più sfamare tutta la famiglia che era tanto numerosa, andavo a cantare in giro e mi pagavano una lira per ogni serata ».

 

19 luglio 1914

« Dai giornali apprendo di un concorso internazionale di canto per esordienti che avrà luogo a Parma. Sono tentato di parteciparvi... ».

 

20 luglio 1914

« Ho deciso: ho mandatola mia domanda di iscrizione a tale concorso. Non ne ho fatto, però, parola
con nessuno, perché temo che sarà per me un fiasco e si concluderà con una brutta figura. Non ho fiducia nelle mie possibilità. Ho chiesto due giorni di permesso in Comune ».


25 luglio 1914
« Concorso di canto per esordienti. Ho cantato una romanza da La Fanciulla del West, da La forza del destino e il duetto del terzo atto dell'Aida. Malgrado non avessi dormito la notte per la paura e nonostante la levataccia e il viaggio, non mi sono mai sentito così bene di voce. E non ero

nemmeno emozionato. Forse ho fatto una bella figura ».


3 agosto 1914  

« Questa mattina dai giornali apprendo del risultato del concorso di Parma: con grande emozione leg­go tra i nomi dei vincitori anche il mio, C’è anche un tenore lirico che si chiama Beniamino Gigli. Ho pian­to per l'emozione e per la contentezza, quando ho ri­cevuto da Parma una let­tera firmata dal maestro Campanini che mi ha con­fermato la mia afferma­zione nel ruolo drammati­co. Grandi festeggiamenti mi hanno fatto i mici col­leghi di lavoro e i miei superiori. Ho meditato a lungo su questo risultato: non ho mai nutrito ecces­sive speranze sulle mie possibilità nel campo del­la lirica e sulle mie qualità vocali, ma qui mi ha giu­dicato una commissione di esperti e il loro verdetto mi è stato favorevole. Che possa riuscire? ».

« I ricordi sono brutte be­stie », dice oggi Francesco Merli, « perché rimettono in causa tutto ciò che una persona possiede, dal tem­po alla salute, gli errori, le cattiverie fatte e ricevu­te, i gesti generosi, i giorni felici, la memoria di per­sone care, i colleghi che non ci sono più. Un mese fa sono andato a Roma per la presentazione di dischi incisi dai cantanti lirici di un tempo e pensavo che ci saremmo trovati in tan­ti, tutti compagni di pal­coscenico; invece eravamo in tre, io, Franci e Tan­credi Pasero che e stato un mio grandissimo ami­co. Allora li ho abbracciati piangendo e ho detto loro "Quanto vi voglio bene!"». Perché il fuoco sotto il crogiuolo della storia da rivedere consuma sem­pre di più e logora « e poi » come dice Merli « finisce che uno non si ritrova proprio ».

 

18 novembre 1914

« Oggi ho fatto un'audizio­ne all'agenzia Bergamini alla presenza del maestro Leandro Serafin, fratello del direttore d'orchestra, e di moltissimi altri signori. Mi sentivo veramente be­ne... ».

 

20 novembre 1914

« Il maestro Leandro Serafin ha voluto sentirmi ancora ed ho cantato le romanze da La Gioconda, Forza del destino e Bohè­me. Si è impegnato a far­mi sentire da suo fratello Tullio appena farà ritorno a Milano. Nuovamente ve­do uno spiraglio di luce nel mio futuro».

 

3 dicembre 1914

« Oggi ho sostenuto la pro­va decisiva che, forse, se­gnerà una svolta impor­tantissima nella mia vita. Il maestro Tullio Serafin ha voluto giudicarmi. Ho cantato « Cielo e mar » da La Gioconda di Ponchielli. Stavo bene, bene di voce. Il maestro si è dimostrato soddisfattissimo e ha la­sciato carta bianca al fra­tello perché si accordasse con me ».

 

14 dicembre 1914

« Oggi abbiamo steso un contratto, io e i signori Serafin. Chiederò un anno di aspettativa ed essi mi passeranno uno stipendio di duecento lire mensili, provvederanno inoltre a pagare le lezioni di canto, mentre per gli spartiti provvederanno loro stessi ad insegnarmi le opere, naturalmente quando sono a Milano. Ai signori Serafin io darò il 20% come inizierò la carriera, su quanto percepirò per recita, sino all'estinzione del­la somma che essi mi avranno anticipato per mensili e per lo studio. Il che vuol dire che essi anticipano ed arrischiano dei soldi che, nel migliore dei casi, verranno da essi recuperati senza alcun In­teresse ».

« Come mi sembrava di essere diventalo ricco, dopo tanta fame! ».

Ma anche allora la sola differenza fra Merli bidel­lo c Merli artista era tutta compresa in quello stipendio di duecento lire.

« Ma poi scoppiò la guerra e addio canto, addio due­cento lire perché mi man­darono sul Montenero in prima linea ».

 

Montenero, 24 ottobre 1915

« È una notte limpida e freddissima, pochi rumori intorno e buio assoluto. Gli austriaci sono a pochi metri da noi. forse a meno di una ventina di metri, rintanati nei loro ripari. Ogni tanto qualche lampo lontano seguito da un rom­bo cupo, attutito. Non so il come e il perché, ad un tratto mi sono messo a cantare e ho intonato a voce spiegata " Cielo e mar " da La Gioconda. Il silenzio si è fatto intorno più profondo; la voce mi scaturiva limpida, squil­lante e avevo gli occhi gonfi di lacrime. AI termine della romanza, dopo un at­timo di silenzio assoluto, una voce ha gridato al di là delle nostre postazioni: " Brava, brava taliano... ancora... ancora " poi, è stato uno scroscio di bat­timani, simile a raffiche di cento mitragliatrici. Sono certo che il nemi­co, in quel momento, mi avrebbe calorosamente ab­bracciato, come sono cer­to che l'indomani mi avrebbe freddamente uc­ciso ».

« Dopo due mesi di quella vita », ricorda oggi Merli, « mi ammalai di itterizia, ma non certo per fifa e quando venni dimesso dall'ospedale mi occupai pres- so una fabbrica di proiettili. Il lavoro era duro, ma io speravo di ricominciare a cantare e questo mi mandava avanti. A mezzogiorno, dopo il lavoro, si andava tutti a mangiare in un'osteria davanti alla fabbrica: un piatto di minestra e un pezzo di formaggio ».

 

27 febbraio 1916

 « Nell'osteria, oggi, mentre in compagnia di altri ope­rai consumavo il mio pa­sto è entrato un vecchio cieco con una piccola pia­nola. Tra l'indifferenza ge­nerale ha suonato, con una certa valentia, un motivo de La fanciulla del West. Nonostante la lunga bar­ba incolta e qualche anno passato, ho riconosciuto in lui il vecchio Cesare, un musicista di un certo va­lore che più di una volta all'istituto dei ciechi mi aveva accompagnato al pia­noforte. L'ho avvicinato e l'ho pregato di accennare alla pianola " Ch'ella mi creda ". Lui ha alzato verso di me i suoi occhi senza sguardo e mi ha chiesto chi ero. Gli ho detto che non aveva alcuna impor­tanza; mi ha chiesto, allo­ra, di fargli sentire la mia mano e... " El Cecch! te seet el Cecch! " ha escla­mato. Tra lo stupore di tutti, che mi conoscevano, ma che non sapevano delle mie velleità canore, ho can­tato allora, accompagnato da Cesare, " Ch'ella mi cre­da ". Il ricavato della que­stua è stato grande. Ci sia­mo lasciati ed io non l'ho più rivisto ».

« Per arrivare al debutto ho dovuto aspettare tanto tempo ancora, ma credo di essere uno dei pochi arti­sti che hanno avuto la for­tuna di debuttare proprio al Teatro alla Scala ».

 

10 settembre 1918

« Oggi alla " Scala " prova generale del Mosè. La sala è gremitissima di invitati e di critici. Sono emozionato, è la prima volta che metto il piede e che canto in un teatro, e quale tea­tro! La sala mi sembra im­mensa, immenso il palco­scenico, ostile tutto quanto mi circonda. Il basso De Angelis e il tenore Dolci mi sembrano dei giganti; il maestro Serafin, al quale vorrei afferrarmi in cer­ca di aiuto, è lontano, ir­raggiungibile. Ma ce la faccio... ».

 

12 settembre 1918

« Prima esecuzione di Mo­sè. Ho aspettato con tre­pidazione e anche con curiosità questo momento. Temevo, temevo, temevo. Ho fatto fatica ad uscire dal camerino, come se qualcuno mi tirasse per la giacca. Sul palcoscenico tutto mi è diventato facile, il personaggio si è impos­sessato di me ed ho vissu­to veramente... » (una mac­chia d'inchiostro interrom­pe la frase, il resto è illeg­gibile).

« Vede? Quarant’anni di parole, perché da quella sera il successo è durato fino al 1961, quando sono andato da mia moglie e le ho detto " Smetto di can­tare ". " Tu sei matto ",  ha risposto lei, ma il matto non ha proprio più can­tato ».

Di questo successo passato, la minuzia, la fragilità e la misura restano intat­ti e questa casa alla peri­feria di Milano sembra davvero un cantuccio qual­siasi dell'universo dove un uomo semplice si è rifugia­to. « Hanno detto che il successo e una bestia cattiva, che corrode, che uccide quello che uno ha dentro, che rende ingiusti, che non fa vedere, ma io credo invece che un artista, se lo è davvero, non debba mai essere diverso dall'uo­mo che è. E l'uomo qual­che volta è giusto e altre volte no ».

La parola successo in ca­sa Merli è un ibrido ver­bale, una di quelle parole attaccapanni a cui uno può appendere tutto: ri­cordi d'infanzia, la fame, i genitori, i fratelli Serafin, Cesare il cieco, la trincea, l'Otello e tutto quan­to può apparire stinto co­me proprio nei ritratti più cari e nelle fotografie dei nonni che a noi nipoti sem­brano appartenere non al­la memoria, ma ad un mon­do «buffo ».

« Ce l'ha la discografia? » mi chiede Merli e capisco che per discografia vuol di­re giradischi « perché se ha la macchina della disco­grafia le regalo una rarità, un disco che ho inciso tren­ta anni fa e dove faccio l'Otello, l'opera che ho amato di più... ».

Anche nelle parole France­sco Merli è modesto, ma questo suo essere infinita­mente semplice non ci de­lude, perché se pure è mi­nuscolo quel lembo di uni­verso che ci offre, la gioia che proviamo nel ritrovar­ci in esso è però infinita.

 

Chi è Francesco Merli

 

Francesco Merli, uno fra i più grandi tenori italiani della generazione di Gigli e di Pertile, nacque a Corsico (Milano) il 27 gennaio 1887. Ebbe maestri il Negrini e il Borghi, Risultò fra i vincitori del concorso per giovani cantanti lirici indetto nel 1914 dal direttore d'orchestra parmense Cleofonte Campa­nini: tale vittoria fu il primo passo importante in un fortu­natissimo itinerario artistico che, tra le prime tappe, vide Merli sul palcoscenico della « Scala », nella parte di Elisero del Mosè rossiniano, l'anno 1918. Dopo aver debuttato in vari teatri italiani Merli inizio una carriera internazio­nale invitato in illustri teatri come il « Colón » di Buenos Aires e il « Solis * di Montevideo. Il tenore non abbandona tuttavia l'Italia e canta ripetutamente alla « Scala ». al­l' « Opera » di Roma, al « Comunale » di Bologna, al « San Carlo », eccetera.  La voce straordinaria, di ampio volume, omogenea nei tre registri, svettante negli acuti, ed altre qualità come la buona pronuncia, la capacità di scolpire vocalmente il personaggio lo rendono famoso in tutto il mondo. Inoltre una non comune versatilità consentirà al cantante di spaziare in un ampio repertorio tenorile, di affrontare cioè tessiture di tenore lirico spinto e di tenore drammatico. Nell'arco di oltre un quarantennio Francesco Merli esegue opere di comune repertorio come Trovatore, Aida, Forza del destino, Don Carlo, Gioconda, Andrea Chénier, Manon Lescaut, Pagliacci, Turandot, accanto ad altre come Fidelio, come la Straniera di Bellini, e a prime esecuzioni (come per esempio il Belfagor di Respi­ghi che terrà a battesimo nel 1924), « Merli è stato », scrive Rodolfo Celletti, « nell’ intervallo tra i due conflitti mon­diali uno dei tenori più ricercati in campo internazionale; e questo anche per la sua capacita di sostenere agevol­mente le tessiture più onerose e impegnative, di qualsi­voglia tendenza Potè così figurare con successo in nume­rose riprese, dalla Dejanice di Catalani al Colombo Germania di Franchetti, dal Salvator Rosa di Gomes al Figliol prodigo di Ponchielli ». Fra i grandi personaggi ai quali diede vita Francesco Merli va tuttavia citato in primo luogo il travagliato Otello alle cui pene e furori il tenore seppe conferire una intonazione di umanissima verità. Fortunatamente fra i dischi che testimoniano la sua arte vi sono anche registrazioni di brani dell'Otello tra cui: “ Niun mi tema ”, “ Dio mi potevi scagliar ”, “ Ora e per sempre ”. Di notevole interesse anche il duetto “ Dio ti giocondi, o sposo ” con la grande Claudia Muzio.

 

Tratto da “ Il Radiocorriere ” - numero 45 del 7/13 novembre 1971.